[Don Pasquale Revello] Sono un parroco. Lavoro a Recco, una bella cittadina sul mare, nella parrocchia di San Giovanni Battista: settemila abitanti. Vorremmo vivere meglio la fraternità sacerdotale tanto raccomandata dal nostro cardinale arcivescovo e promossa con incontri diocesani, vicariali, pellegrinaggi, ritiri ed esercizi spirituali, settimane di comunità. Ci può dare qualche indicazione?
Grazie, don Pasquale. Quanti anni ha, Lei?
[Don Pasquale] 81 compiuti.
Siamo coetanei! Ma le faccio una confessione: sentendola parlare così, gliene avrei dati 20 di meno!
Fraternità: è una bella parola, ma non si quota nella borsa dei valori. È una parola che non si quota nella borsa dei valori. È tanto difficile, la fraternità, tra noi. È un lavoro di tutti i giorni, la fraternità presbiterale. Forse senza accorgercene, ma corriamo il rischio di creare quell’immagine del prete che sa tutto, non ha bisogno che gli dicano nient’altro: “Io so tutto, so tutto”. Oggi i bambini direbbero: “Questo è un prete google o wikipedia!” Sa tutto. E questa è una realtà che fa tanto male alla vita presbiterale: l’autosufficienza. Questo tipo di prete dice: “Perché perdere tempo nelle riunioni?... E quante volte sto nelle riunioni e sta parlando il fratello prete, e io sono in orbita nei miei pensieri, penso alle cose che devo fare domani...”. Io lascio la domanda: ma se il vescovo dicesse: “Sapete che dall’anno prossimo crescerà l’apporto dell’8 per mille per i preti?”, allora “l’orbita” scende subito, perché c’è qualcosa che ha toccato il cuore! Questo ti interessa? E quello che ti dice quel prete giovane o quel prete vecchio o quel prete di mezza età, non ti interessa? Una bella domanda da farci: nelle riunioni, quando mi sento un po’ lontano da ciò che sta dicendo l’altro, o non mi interessa, chiedermi: “Ma perché non mi interessa questo? Che cos’è che mi interessa? Dov’è la porta per arrivare al cuore di quel fratello prete che sta parlando e dicendo della sua vita, che è una ricchezza per me?”. È una vera ascesi, quella della fraternità sacerdotale! La fraternità. Ascoltarsi, pregare insieme...; e poi un buon pranzetto insieme, fare festa insieme... per i preti giovani, una partita di calcio insieme... Questo fa bene! Fa bene. Fratelli. La fraternità, tanto umana. Fare con i preti del presbiterio quello che facevo con i miei fratelli: questo è il segreto. Ma c’è l’egoismo; dobbiamo recuperare il senso della fraternità che... sì, se ne parla ma non è ancora entrata nel cuore dei presbitèri, non è entrata profondamente. In alcuni un po’, in alcuno meno, ma deve entrare di più. Ciò che succede all’altro, mi tocca; ciò che dice quel confratello, può dirlo anche per aiutarmi a risolvere un problema che io ho. “Ma quello la pensa in modo diverso da me...”. Ascoltalo! E prendi quello che ti serve. I fratelli sono ricchezza gli uni per gli altri. E questo è quello che apre il cuore: recuperare il senso della fraternità. È una cosa molto seria. Noi preti, noi vescovi, non siamo il Signore. No. Il Signore è Lui. Noi siamo i discepoli del Signore, e dobbiamo aiutarci gli uni gli altri. Anche litigare, come litigavano i discepoli quando si domandavano chi fosse il più grande di loro. Anche litigare. È bello anche sentire discussioni nelle riunioni sacerdotali, perché se c’è discussione c’è libertà, c’è amore, c’è fiducia, c’è fraternità! Non avere paura. Piuttosto, bisogna avere paura del contrario: non dire le cose, ma poi, dietro: “Hai sentito cosa ha detto quello scemo? Hai sentito che idea stravagante?”. La mormorazione, lo “spellarsi” l’un l’altro, la rivalità... Vi dirò una cosa... Ho pensato tre volte se posso dirla o no. Sì, la posso dire. Non so se devo dirla, ma la posso dire. Voi sapete che per fare la nomina di un vescovo si chiedono informazioni ai sacerdoti e anche ai fedeli, alle consacrate su questo sacerdote, e lì, nel questionario che manda il nunzio, si dice: “questo è segreto”. Non si può dire a nessuno, ma questo sacerdote è un possibile candidato a diventare vescovo. E si chiedono informazioni. Alcune volte si trovano vere calunnie o opinioni che, senza essere calunnie gravi, svalutano la persona del prete; e si capisce subito che dietro c’è rivalità, gelosia, invidia... Quando non c’è fraternità sacerdotale, c’è — è dura la parola — c’è tradimento: si tradisce il fratello. Si vende il fratello. Per andare su io. Si “spella” il fratello. Pensate, fate un esame di coscienza, su questo. Vi chiedo: quante volte ho parlato bene, ho ascoltato bene, in una riunione, fratelli sacerdoti che la pensano diversamente o che non mi piacciono? Quante volte, appena hanno incominciato a parlare, ho chiuso le orecchie? E quante volte li ho criticati, “spiumati”, “spellati” di nascosto? Il nemico grande contro la fratellanza sacerdotale è questo: la mormorazione per invidia, per gelosia o perché non mi va bene, o perché la pensa in un’altra maniera. E dunque è più importante l’ideologia della fraternità; è più importante l’ideologia della dottrina... Ma dove siamo arrivati? Pensate. La mormorazione o il giudicare male i fratelli è un “male di clausura”: quanto più siamo chiusi nei nostri interessi, tanto più critichiamo gli altri. E mai avere la voglia di avere l’ultima parola: l’ultima parola sarà quella che viene fuori da sola, o la dirà il vescovo; ma io dico la mia e ascolto quella degli altri.
Poi, quando ci sono sacerdoti malati, ammalati fisicamente, andiamo a trovarli, li aiutiamo... Ma peggio, quando sono malati psichicamente; e quando sono ammalati moralmente. Faccio penitenza per loro? Prego per loro? Cerco di avvicinarmi per dare una mano, per far vedere loro lo sguardo misericordioso del Padre? O subito vado dall’altro amico mio a dirgli: “Sai? Ho saputo di quello là questo, questo e questo...”. E lo “sporco” ancora di più. Ma se quel poveretto è caduto vittima di Satana, anche tu vuoi schiacciarlo? Queste cose non sono favole: questo accade, questo succede.
E inoltre un’altra cosa che può aiutare è sapere che nessuno di noi è il tutto. Tutti siamo parte di un corpo, del corpo di Cristo, della Chiesa, di questa Chiesa particolare. E chi ha la pretesa di essere il tutto, di avere sempre ragione o avere quel posto o quell’altro, sbaglia. Ma questo si impara dal seminario. So che qui ci sono i superiori dei seminari, i formatori, i padri spirituali. Questo è molto importante. Un bravo arcivescovo vostro, il cardinale Canestri, diceva che la Chiesa è come un fiume: l’importante è essere dentro il fiume. Se sei al centro o più a destra o più a sinistra, ma dentro il fiume, questo è una varietà lecita. L’importante è essere dentro il fiume. Tante volte noi vogliamo che il fiume si restringa soltanto dalla nostra parte e condanniamo gli altri... questa non è fraternità. Tutti dentro il fiume. Tutti. Questo si impara in seminario. E io consiglio ai formatori: se voi vedete un seminarista bravo, intelligente, che sembra bravo, è bravo ma è un chiacchierone [pettegolo], cacciatelo via. Perché dopo questa sarà un’ipoteca per la fraternità presbiterale. Se non si corregge, cacciatelo via. Dall’inizio. C’è un detto, non so come si dice in italiano: “Alleva corvi e ti mangeranno gli occhi”. Se nel seminario tu allevi “corvi” che “chiacchierano”, distruggeranno qualsiasi presbiterio, qualsiasi fraternità nel presbiterio.
E poi ci sono tante prove: il parroco e il vice-parroco, ad esempio. A volte vanno naturalmente d’accordo, sono dello stesso temperamento; ma tante volte sono differenti, molto differenti, perché nel fiume uno è da questa parte e l’altro è dall’altra parte: ma tutti dentro il fiume. Fate uno sforzo per capirvi, per amarvi, per parlarvi... L’importante è essere dentro il fiume. E l’importante è non chiacchierare dell’altro, e cercare l’unità. E dobbiamo prendere le luci, le ricchezze, i doni, i carismi di ognuno. Questo è importante. I Padri del deserto ci insegnano tanto su questo: sulla fraternità, sul perdono, sull’aiuto. Una volta, andarono da Abba Pafnuzio alcuni monaci: erano preoccupati per un peccato che aveva commesso uno dei loro fratelli, e vanno da lui a chiedere aiuto. Ma, prima di andare, avevano chiacchierato tra loro, parecchio. E Abba Pafnuzio, dopo averli ascoltati, disse: “Sì, io ho visto sulla riva del fiume un uomo che era proprio nel fango fino alle ginocchia. E alcuni fratelli volevano dargli una mano, e lo hanno fatto andare giù fino al collo”. Ci sono alcuni “aiuti” che quello che cercano è distruggere e non aiutare: sono solo travestiti da aiuti. Nella mormorazione, sempre succede questo. Una cosa che ci aiuterà tanto, quando ci troviamo davanti ai peccati o a cose brutte dei nostri fratelli, cose che cercano di rompere la fraternità, è farci la domanda: “Quante volte io sono stato perdonato?”. Questo aiuta.
Grazie don Pasquale. E grazie della Sua giovinezza.