E ora che l’inverno non è più solo un presagio, la situazione può solo peggiorare. «Pensa che sventura: non mi hanno ammazzato le bombe di Assad, e ora rischio di saltare in aria in Europa», dice Zakaria esorcizzando con un mezzo sorriso la paura di finire a pezzi proprio a un passo dalla meta. In tutto, secondo le stime, sono oltre 21mila le persone transitate lungo i confini in dall’inizio dell’anno. In Bosnia ed Erzegovina sono bloccate 8mila persone, di cui circa 6mila solo a Bihac, tra la foresta e i terrapieni vicini alla frontiera. Le condizioni nei campi sono invivibili, specie adesso che le temperature sono rigide e presto arriveranno le nevicate. Per i profughi la parola più temuta non è “ landmines”.
Alle mine antiuomo molti di loro sono abituati fin dai tempi trascorsi cercando un riparo sulle alture afgane. Quello che più temono è il “ push-back”, le operazioni di sistematico respingimento per mano dei gendarmi di Zagabria. I segni sui loro corpi sono lì a dimostrarlo. Lividi, graffi, gonfiori provocati dalle bastonate, caviglie ustionate da certe “lezioncine” impartite coi ferri roventi. Piedi scorticati dal ritorno verso la Bosnia dopo che la polizia sequestra le scarpe.
In una dichiarazione passata pressoché inosservata, lo scorso 9 luglio la presidente Kolinda Grabar-Kitarovic, prima presidente donna della Croazia, aveva fatto capire quale sarebbe stata la musica per i mesi a venire. «Certamente – aveva detto –, un po’ di forza è necessaria quando si effettuano i push-back ». Segno che l’evidenza non poteva più essere negata. «Centinaia, se non migliaia, di migranti e richiedenti asilo sono stati maltrattati dalla polizia di confine croata e meritano giustizia», ha dichiarato Lydia Gall, ricercatrice di Human Rights Watch per i Balcani e Europa dell’Est.
A lamentarsene non sono gli attivisti dal cuore tenero o i buonisti dell’Europa occidentale venuti a infastidire la gang sovraniste che seminano zizzania anche da queste parti. Negli uffici del Difensore civico di Zagabria è arrivato mesi fa un esposto firmato da ufficiali di polizia, la cui identità è stata protetta. Manifestano la «delusione» per l’ordine di respingere i profughi «a gruppi di 20-50 persone» senza garantire loro «il processo per ottenere l’asilo e anche dopo aver distrutto o gettato nel fiume i loro telefoni, oppure appropriandosene ».