Oggi chi sta davanti alza muri per tenere a distanza "gli scarti"
“E oltre a Dio - commenta Papa Francesco - dimentica il prossimo, anzi lo disprezza: per lui, cioè, non ha prezzo, non ha valore”. Si ritiene infatti migliore degli altri, che per lui sono “rimanenze”, “scarti da cui prendere le distanze”. E’ una dinamica, sottolinea il Papa, tante volte “in atto nella vita e nella storia”, quando chi sta davanti, come il fariseo rispetto al pubblicano, “innalza muri per aumentare le distanze, rendendo gli altri ancora più scarti. Oppure, ritenendoli arretrati e di poco valore, ne disprezza le tradizioni, ne cancella le storie, ne occupa i territori, ne usurpa i beni”. Quante presunte superiorità, che si tramutano in oppressioni e sfruttamenti, anche oggi! L’abbiamo visto al Sinodo, quando parlavamo dello sfruttamento del Creato, della gente, degli abitanti dell’Amazzonia, della tratta delle persone, del commercio delle persone! Gli errori del passato non son bastati per smettere di saccheggiare gli altri e di infliggere ferite ai nostri fratelli e alla nostra sorella terra: l’abbiamo visto nel volto sfregiato dell’Amazzonia.
Alcuni che vanno a Messa sono sudditi della religione dell'io
“Anche cristiani che pregano e vanno a Messa la domenica – chiarisce Francesco - sono sudditi di questa religione dell’io”. Guardiamoci dentro, è il suo invito, per “vedere se anche per noi qualcuno è inferiore, scartabile, anche solo a parole”. E preghiamo “per chiedere la grazia di non ritenerci superiori, di non crederci a posto, di non diventare cinici e beffardi. Chiediamo a Gesù di guarirci dal parlare male e dal lamentarci degli altri, dal disprezzare qualcuno: sono cose sgradite a Dio”. E ringrazia Dio per la presenza, alla celebrazione, in primo piano, non solo degli aborigeni dell’Amazzonia, ma anche dei più poveri delle società sviluppate, “fratelli e sorelle ammalati della comunità dell’Arche”.
La preghiera del pubblicano: si sente povero, si fa guardare da Dio
Il Pontefice analizza poi la preghiera del pubblicano, che “non comincia dai suoi meriti, ma dalle sue mancanze; non dalla sua ricchezza, ma dalla sua povertà”. Non economica, perché i pubblicani erano ricchi, guadagnando iniquamente dai connazionali, ma di vita, perché “nel peccato non si vive mai bene”. Ma il pubblicano si riconosce povero, ricorda Papa Francesco, “il Signore ascolta la sua preghiera, fatta di sole sette parole ma di atteggiamenti veri”. Infatti non sta in piedi davanti a Dio, ma a distanza, senza osare “alzare gli occhi al cielo” troppo grande per lui che “si sente piccolo”. E si batte il petto, “perché nel petto c’è il cuore”
La sua preghiera nasce dal cuore, è trasparente: mette davanti a Dio il cuore, non le apparenze. Pregare è lasciarsi guardare dentro da Dio senza finzioni, senza scuse, senza giustificazioni. Fanno ridere i pentimenti pieni di giustificazioni, sembrano quasi un’auto-causa di canonizzazione. Perché dal diavolo vengono opacità e falsità, queste sono giustificazioni, da Dio luce e verità, la trasparenza del mio cuore. È stato bello e ve ne sono tanto grato, cari Padri e Fratelli sinodali, aver dialogato in queste settimane col cuore, con sincerità e schiettezza, mettendo davanti a Dio e ai fratelli fatiche e speranze.
