Il ministro di Dio deve sporcarsi le mani come Dio fece nella creazione. Deve avere il profumo del popolo che gli è affidato. Deve essere testimone fedele ed instancabile della misericordia, bontà, pazienza, mitezza e carità di Dio. Per fare questo deve avere il coraggio di essere in COMUNIONE con Dio e con i confratelli per il bene dei fratelli. Le parole ribadite più vote dall’arcivescovo sono state: fraternità, comunione, compatire, no carrierismo, conversione del linguaggio, ministero, perdono, accoglienza, carità. La fraternità vista come vocazione cioè dono di sé. Un dono che mai si deve spegnere, come l’olio della lampada che arde giorno e notte accanto al Santissimo Sacramento. La comunione come unione fra i ministri del Signore: diaconi, presbiteri e vescovi. Essa è, nel suo significato originario e fondante, l'armonia che si instaura tra due o più persone. Questo fa scaturire la docilità all’ascolto dello Spirito e non al proprio egoismo e alla propria superbia.
Non essere padri-padroni delle comunità che il vescovo affida, ma servi. Non rincorrere la carriera, la notorietà o praticare la “rocchetto terapia”. Ma essere servi e testimoni con l’esempio del Vangelo del Signore. Il ministero sacerdotale è svolto INSIEME e non da soli, non si sta “sotto il proprio campanile”, ma si esce e si diffonde ovunque il profumo santo dell’olio. La conversione del linguaggio vista come desiderio di portare nel proprio cuore e sulle proprie labbra il santo Vangelo del Signore e non le propri parole o opinioni, magari creando divisioni e prevaricazioni. Sempre il vangelo con la parola, la testimonianza e l’accoglienza di tutti. “Siamo in debito verso il mondo contemporaneo di una parola che apra alla speranza. Tornare al contenuto del messaggio evangelico. La celebrazione domenicale e la partecipazione dei fedeli affinché tutti i cattolici si sentano sempre di più a proprio agio nella celebrazione eucaristica della loro comunità, anche se provengono da altri Paesi e parlano abitualmente un’altra lingua”.
Inoltre l’arcivescovo ha insistito su come tracciare il segno di croce e sul suo alto e grande significato: quando lo facciamo su di noi, la Trinità Santissima entra in noi e non ci abbandona. Si crea un filo diretto con il cielo “La devozione cristiana ha interpretato in modo cristiano tutti i momenti della giornata e le azioni della vita con il segno della croce… Forse potremmo imparare e insegnare a fare il segno della croce!”. La conclusione dell’omelia è dedicata alla dimensione caritativa, che “anima tutta la vita dei discepoli di Gesù: le prestazioni professionali, come la gratuità di innumerevoli dedizioni, la vita familiare come il servizio alla comunità, la sollecitudine per i più poveri come la qualità dei rapporti di buon vicinato, l’avveduta gestione delle risorse economiche come la generosità della beneficenza in vita e in morte”.
Al termine della celebrazione, prima di impartire la benedizione, l’arcivescovo da detto due pensieri che hanno colpito il cuore. Il primo: ha chiesto scusa se, con le sue parole, ha ferito qualcuno ma non era sua intenzione. Il secondo: ha chiesto ai suoi parroci se, nelle comunità dove operano, ci siano dei fratelli che abbiano lasciato il sacerdozio. Di andare da loro, di stargli vicino, di ascoltarli e di donargli l’amore della Chiesa; e di trasmettergli l’affetto e la vicinanza del proprio vescovo. Che gesti semplici ma pieni di grandezza e di amore che ci dona il nostro arcivescovo. Preghiamo per lui perché abbia sempre il coraggio e la forza di ammaestrarci e di guidarci verso il Signore. Che ci “rimetta in careggiata” quando sviamo dall’insegnamento del Vangelo e dalle parole della Chiesa. Ci aiuti sempre di più ad amare il Papa e ad ascoltare e seguire il suo alto magistero.