Non ce l’aveva fatta a resistere, si era messa piccina e magrissima schiacciata contro la recinzione quasi per scomparire. La partita era appena cominciata tra le solite urla dei tifosi, quando una mano ad artiglio l’aveva improvvisamente strappata dalla rete metallica dov’era incollata: la zia cattiva, avvisata dalle suore, era andata dritta dritta a scovarla, certa che l’avrebbe trovata lì, dove giocavano “quegli erbesi che non avevano niente di meglio da fare!”
Delle punizioni non le sarebbe importato niente, era stata troppo felice di vedere quei ragazzi e risentire la sua parlata, magari il dialetto, insomma voleva riconoscersi, dar sfogo alla nostalgia per la sua casa e la sua gente, ma la zia le fece fare a sberle e calci tutta la via principale di Morbegno, fino alla casa dove era “sopportata” ospite.
E Lella se ne vergognava ancora. “Ma è lei che doveva vergognarsi, brutta strega!” E noi avevamo protestato animatamente, ma non c’erano state parole sufficienti per colmare quella “figura” per lei ancora dolorosa.
Quella volta, dopo il racconto, Il Teatrino allora aveva cercato di rasserenarla facendola parlare della sua carriera, delle orchestre, i maestri, i suoi primi concerti, Albano, col quale aveva diviso i primi sforzi nella comune casa di produzione, o la Vanoni che, per la sua voce un po’ difficile, la facevano cantava prima, in modo che potesse impararne, con meno sforzo, la melodia. Adesso quello che scrivo non sembra vero…ma il risultato è che tutti avevano approfittato della generosità di Lella.
Poi aveva incontrato il grande Giovannino D’Anzi, quello delle canzoni milanesi più importanti e della famosa “Mia bela Madunina”. Infatti il maestro, che la chiamava Sciura Greco dandole costantemente del lei com’era in uso a quei tempi, diceva spesso “Sciura Greco, quand möri mi ghe lassi Nustalgia de Milan…e la mia Madunina.” Purtroppo D’Anzi morì improvvisamente, e Lella si ritrovò spiazzata senza più riferimento. Questo la dice lunga sul suo carattere che si affidava solo alla grandezza della sua voce, e, nonostante i grandi inizi con Pippo Baudo in Rai, o con i primi film di Macario dove era la voce ufficiale e cantava il leitmotiv della pellicola, tutto d’un tratto finì.
E quando vinse a Messina il concorso per “Voci nuove”, tra ben 3000 concorrenti, lo fece con “Mi sono innamorata di te”, che lei ha cantato sempre con grandissima interpretazione. Ebbene, il suo autore Luigi Tenco gliel’aveva offerta con un nuovo arrangiamento: “Vai Greco, con questa sbaragli tutti!”
Poi Lella si è innamorata, sposata, aveva avuto una figlia, e la carriera era terminata senza seguito. Io allora conoscevo poco Lella, l’avevo sentita cantare, sì, ma solo una volta sulla corriera di ritorno da una gita alla Salute: lei era in fondo, seduta sui sedili dove di solito stanno i cori: “Quel mazzolin dei fiori” e tutti: “che vien dalla montagna…” eppure, nonostante cantassero almeno in quaranta, la sua bellissima voce si alzava sopra tutte le altre.
Un giorno, anni dopo, dovendo leggere poesie di Alberto Ajroldi, per farlo con maggior intensità avevo chiesto a Roberto Motta di accompagnarmi con la sua famosa chitarra, e lui era venuto a casa mia accompagnato da una timida Lella. Quella sera stessa è nato il “Teatrino di noi”, parole create, come per tutti i nostri spettacoli, da Vito Trombetta, grande poeta e titolatore impareggiabile. Quando tutto questo? Sono passati, ahimè, mese più mese meno, più di 25 anni.
Qui devo aprire un piccolo capitolo personale: mio padre, grande voce da baritono, è stato il vero trait d’union tra me e la musica, e quando è mancato ho scritto in suo onore una Messa. In dialetto.
Ho cominciato con l’Angelo di Dio, non che facesse parte della Messa ufficiale, ma una poesiola in dialetto mi era stata chiesta dalla Superiora dell’Asilo di S. Pietro, vicino al piazzale di Radio Mater di quel tempo. “Me la scrive per Natale? Facile facile, per i bambini di 3, 4 e 5 anni? Magari a rime baciate?” Quella domenica, tornando dalla Mara, mi cominciarono a balenare, ritmicamente, le prime parole “Angiul del Signuur” continuando a passo cadenzato…. “guardian e prutetuur…”
Non avevo matite, non c’erano i cellulari, così continuai a ripetermi le rime fino fino a casa. Dal telefono, fisso, chiamai Lella dove sapevo avrei trovato Roberto, e gli dettai le parole. Un’ora dopo il miracolo, perché di piccolo miracolo si trattava: quell’Angiul del Signuur che chiude la rubrica “Verso” (titolo Trombettiano come sempre) che tutti gli ascoltatori di Radio Mater conoscono molto bene.
E il suo amore per la Madonna venne fuori in una serata importante nell’aula Consigliare del Comune di Erba: il noto vaticanista Giuseppe De Carli vi presentava il suo ultimo saggio mariano: Da Lourdes a Fatima con prefazione del futuro papa Benedetto XVI.
Quale migliore occasione per cantare le Avemarie più famose? In italiano, in napoletano, in francese, spagnolo, portoghese, ma la più emozionante fu quella in dialetto sardo: una interpretazione che ancora provoca brividi a noi del Teatrino, e a tutti coloro che vorranno ascoltarla perché Radio Mater l’aveva registrata in quella serata in cui avevamo ripetuto l’esperienza erbese.
Poi, la Messa in dialetto l’avevo scritta tutta, e Roberto Motta l’aveva musicata da quell’autore sensibile, estroverso, sorprendente e davvero magico che è da sempre.
Ed è di questa creazione quel Pater Noster che apre le trasmissioni del Teatrino ogni terzo venerdì del mese, e che Mons. Aristide Pirovano aveva ascoltato ad occhi chiusi per timore di qualche svarione teologico: alle ultime parole “…un tocch d’amuur, da Ciel, e così sia..” lui fece OK con la mano, e i suoi occhi ancora chiusi ci avevano regalato il sigillo del suo consenso insieme alla cocente passione per la nostra terra e la sua parlata.
Lella veniva a Radio Mater con grandissimo piacere, sempre preoccupata di far bene, e quando incontrava don Mario si emozionava perché lui l’ha sempre accolta con grande affetto. In una serata, una di quelle che il Teatrino voleva partecipare ai suoi “aficionados”, eravamo rimasti improvvisamente senza Vito e Roberto, ma Giovanna mi disse che non era possibile farci sostituire così, all’ultimo momento. Allora ho chiamato Lella, siamo corse ad Albavilla, e senza copione ma, soprattutto, senza chitarra, abbiamo imbastito uno dei più divertenti, improvvisati e scoppiettanti recital. Lella, che aveva il terrore di sbagliare, aveva cantato a cappella, e si era buttata a capofitto lanciandomi grandi occhiatacce ma con quel coraggio che, forse, non sapeva d’avere.
Come non parlare di Vito Trombetta? Il poeta, l’amico sincero, colto, sparring-partner straordinario per creare spettacoli, che per Lella aveva un amore particolare fatto di partecipazione e preoccupazione. E Roberto Motta? Di lui dovrei scrivere a lungo, ma dico solo che la sua dolcissima chitarra, che ha accompagnato Lella con devozione e ininterrotta continuità da quando era poco più che ventenne, è stato vitale, addirittura insostituibile, e chi l’ha sentito non potrà che confermarlo.
Adesso dovrei chiudere, ma mi sono accorta di aver tantissimo ancora da raccontare, ma voglio scrivere di sua figlia Barbara. Noi prendevamo in giro Lella per la passione e la cura che manifestava per sua figlia, tanto che, quando ne parlava, per sottolinearne il nome lo pronunciava con tante erre: Barrrbara!
Ebbene, Barbara non aveva mai seguito la madre nei nostri viaggi musical/poetici, aveva un fidanzato, una vita spensierata da ragazza giovane, forse sentiva gli U2, David Bowie, comunque quelle musiche che non ci appartenevano, eppure un giorno, un maledetto giorno, l’abbiamo incontrata accanto al suo letto. Sempre. E per tanti mesi, fino all’ultimo, l’ha accarezzata, massaggiata, le ha spalmato la crema sul volto, sulle mani, ne ha curato pettinatura, manicure, look con una dedicazione così amorosa e affettuosa che ha commosso tutti.
E adesso? Come terminare questo racconto? Sapeste quante cose non ho scritto, quanto avrei ancora da ricordare, e chiedo scusa a tutti per essermi lasciata andare un po’ alla rinfusa, dando retta soltanto al cuore, ma termino con le parole con le quali l’ho iniziato, sapendo che il “Teatrino di noi”, col poeta Vito Trombetta, e il chitarrista Roberto Motta, i miei compagni di teatro e di vita, saranno totalmente e sentimentalmente d’accordo:
Lella Greco THE VOICE!
Rosanna