Per alcuni – i più fortunati? – arriva, leggera come una farfalla, misericordiosa come una mamma. Scivola tra i figli che gli tengono la mano, gli bagnano le labbra, gli asciugano il sudore, e, dolcemente, lo bacia sulla fronte. Si presenta alla fine di una esistenza serena, fatta di affetti, lavoro, sofferenza, preghiera. Chi resta, è invaso da un dolore sopportabile, abbassa la testa e, singhiozzando, rende grazie a Dio. Altre volte, invece, fa paura, spaventa, atterrisce; giunge veloce come un lampo, indesiderata come un uragano, arcigna come una iena; fa danni incalcolabili, non bada all’età di chi le sta davanti; con prepotenza, irruenza, violenza, sofferenza immensa, strappa alla vita chi della vita non era ancora sazio, o, addirittura, non aveva gustato che le primissime stagioni.
E lascia, in chi resta, ferite sanguinanti che, non poche volte, di guarire non ne vogliono sapere. Ci sono giorni in cui non vuol sentir ragioni, nessuna lacrima, nessuna invocazione, nessuna preghiera riesce a impietosirla. Quando si comporta così, quando scompagina il nostro sereno, quotidiano andare, ecco riapparire la domanda antica: 'Perché?'. Perché Dio permette questo? Perché tanti uomini, in modo barbaro, tormentano e uccidono la donna che dicevano di amare? Perché gli esseri umani lasciano annegare in mare tanti loro simili, senza provare un briciolo di rimorso o di pietà? Perché tanti bimbi vengono strappati via prima ancora di poter vedere la luce? Perché tanti giovani la sfidano, la tentano, la rincorrono? Perché? La morte, allora: nemica o amica? Fine di ogni cosa o ultima trasformazione? Evento da invocare o scongiurare? È bene pensarla o è meglio ignorarla?